Michele Carruba
Professore Ordinario di Farmacologia, Direttore del Centro di Studi e Ricerca sull’Obesità presso l’Università degli Studi di Milano
A cura di Alessio Pappagallo
Il Manifesto sulla salute nelle città e l’Italian Urban Diabetes Charter sottolineano la necessità di fare della prevenzione primaria e dei corretti stili di vita una strategia anche per mantenere sostenibile e di qualità il servizio sanitario. Cosa la città di Milano dovrebbe migliorare per tali obiettivi?
La prevenzione primaria e secondaria sono uno strumento che hanno non solo la possibilità di migliorare la salute dei cittadini ma anche di supportare il Sistema sanitario nazionale perché al momento ci sono pericoli di sostenibilità del Sistema. La prevenzione, quindi, deve essere considerata un investimento. Oggi la letteratura scientifica in diverse parti del mondo ha dimostrato come investire 1 dollaro in prevenzione significa risparmiarne 10. Cambiare il paradigma, quindi, oltre che accanirsi su chi è già malato bisogna fare in modo che le persone sane restino tali. Legato alla prevenzione però c’è un problema di cultura: la popolazione oggi si accorge di star male solo quando ha dei sintomi gravi e conclamati. Inoltre, noi siamo carenti nella cosiddetta prevenzione secondaria. Un esempio, metà della popolazione italiana è sovrappeso o obesa e questo comporta un aumento enorme di rischi di altre patologie. Oggi, quindi, sappiamo che una persona obesa svilupperà tutta una serie di patologie che lo porteranno ad una riduzione delle aspettative di vita di circa dieci anni, mentre la riduzione delle aspettative di vita in salute è di circa vent’anni. È chiaro che queste persone avranno bisogno di cure e quindi prevenire l’obesità significa evitare tutta una serie di patologie, dal diabete, ai tumore, alle malattie cardiovascolari, all’ipertensione, ecc. Ridurre anche di una sola unità percentuale la prevalenza di obesità in Europa porterebbe, ad esempio, ad evitare 9milioni di casi di tumore.
Di Campagne di prevenzione però se ne fanno e ne sono state fatte tante, ma se c’è ancora un problema di questo tipo, possiamo dire che lasciano il tempo che trovano?
No, è chiaro che la persona sana non va dal medico, a meno che non sia lo stesso medico che in una qualsiasi occasione instauri un rapporto e lo erudisca su quanto la prevenzione può fare. Molte delle campagne che si fanno vedono i medici in piazza per fare screening, fornire consulti, ma si fermano lì. Deve essere, invece, il medico di medicina generale che prende in carico il paziente che va da loro per il raffreddore e gli consiglia di gestire l’obesità. Per fare questo bisogna cambiare il sistema e ritrasformare gli operatori di salute in attori attivi e non passivi come sono diventati in questi ultimi anni.
Ritiene utile la partecipazione ideativa e propositiva di altre competenze professionali, oltre a quelle medico-sanitarie, per disegnare una metropoli in salute e fonte di salute?
Ovviamente, nell’ambito della prevenzione quello che sappiamo essere un elemento fondamentale è la modifica dei cosiddetti stili di vita scorretti. Si tratta di dire alla popolazione di, ad esempio, andare a piedi o in bicicletta piuttosto che utilizzare la macchina. È chiaro però che la città deve essere rivista per creare piste ciclabili, parchi, ridurre l’inquinamento. Un approccio multidisciplinare integrato in cui ingegneri, architetti, ecc, devono collaborare con gli specialisti con l’obiettivo comune di migliorare la salute della gente. Inoltre, occorre una campagna educativa altrimenti avremo tante piste ciclabili ma nessuno che le usa.
L’inquinamento ambientale ha comunque un ruolo negativo sulla salute dei cittadini, soprattutto nel campo delle patologie non trasmissibile e croniche. E Milano ha un passato dai livelli di smog elevati. Quanto fatto finora ha portato successi? E che cosa fare in più come strategia anti-smog metropolitana?
Il problema è che in Italia noi abbiamo circa 91mila morti premature l’anno per inquinamento e purtroppo deteniamo questo record negativo anche rispetto alla Germania che ne ha 86mila e alla Francia che ne ha 54mila e l’Inghilterra 50mila. Il vero problema nel problema è che purtroppo pensando a Milano e in genere alla Pianura Padana non sta solo nel ridurre l’inquinamento perché la conformazione geofisica atmosferica della Padana è fatta in modo che, nonostante Milano sia tra le città più all’avanguardia per la riduzione degli inquinanti, purtroppo, la maggior parte di quello che si produce rimane lì e va a formare la cosiddetta cappa. L’unica strada, quindi, è ridurre sempre di più l’inquinamento e, anche se molto è già stato fatto negli ultimi anni, non basta per rientrare nei parametri dell’Ue proprio a causa del suo clima. C’è già un piano a Milano che partirà nel 2019 che ha l’obiettivo di ridurre a zero i veicoli diesel entro il 2025. Ciò significa anche auto elettriche, ibride e anche qui a Milano ci sono incentivi in questo senso, ad esempio per i tassisti che vengono agevolati se acquistano auto meno inquinanti. Ci sono poi i car sharing elettrici e così via. Già dall’amministrazione Moratti quando Milano ha avuto più poteri attuativi in vista di Expo sono partite nuove linee di metropolitana e anche questa politica è stata innescata ed è fondamentale. C’è poi il bike sharing che, con molto successo, permette al consumatore di usare la bicicletta laddove possibile a poco prezzo. Sono state fatte, infatti, anche le piste ciclabili, non perfette per motivi di viabilità ma laddove è stato possibile sono state fatte e agevolano e invogliano l’utilizzo della bicicletta. È stato poi avviato il teleriscaldamento e una buona fetta di Milano è già collegata a questa energia recuperata dalla combustione dell’immondizia. Oltre agli incentivi a lasciare le caldaie a gpl per quelle a gas. Infine, il lavaggio delle strade è fondamentale perché porta via gli inquinanti pm10, gli stessi che si abbassano dopo le piogge. Insomma è stato già fatto molto ma tanto andrà ancora fatto. La volontà c’è ma per quanto noi passiamo ridurre, va considerato il luogo dove sorge la città di Milano.
Gli stili di vita scorretti cominciano da bambini. A parte la scuola, come la politica comunale può agire, e non solo sporadicamente, per influenzare e divulgare la buona cultura della salute?
La scuola è lo strumento principale anche se qualsiasi cosa si faccia a scuola se la famiglia non collabora non serve a niente. C’è da dire che oggi, e la cronaca ce lo racconta con genitori che picchiano gli insegnanti e così via, la scuola sta perdendo autorevolezza. Tuttavia, resta fondamentale la collaborazione tra istituto scolastico e famiglia, i bambini mangiano come mangiano i genitori, l’esempio della famiglia è così importante che la parte educativa non riesce a modificare le abitudini famigliari. Spesso, un tempo, i bambini educati a scuola portavano i messaggi alla famiglia, oggi molto meno diciamo. Il vero problema della salute è legato alla non cultura della gente e questo è ampiamente dimostrato. Si è visto anche che spesso è collegata al tasso di povertà, ma è sempre più difficile oggi distinguere tra povertà economica e culturale, per cui noi siamo convinti che deve esserci un’operazione di tipo culturale che non può che cominciare dalla scuola.