Catalogna Health Consortium
Gemma Tarafa, Commissario per la salute di Barcellona
La salute è uno dei beni più preziosi della nostra vita.
Non è possibile garantire il diritto alla salute senza un’assistenza sanitaria pubblica che sia di qualità, libera, prontamente accessibile, che possa curarci e prendersi cura di noi quando ci ammaliamo. A partire dalle nostre città, è necessario impegnarsi al massimo per creare ambienti sani ed opportunità alla portata di tutti gli strati sociali.
Dobbiamo affrontare la sfida delle disparità nel campo della salute, i 10 anni di differenza nell’aspettativa di vita tra i quartieri Pedralbes e Torre Baró di Barcellona, gli 8 anni che separano due piccoli comuni come Sant Cugat e Sant Adrià del Besòs, e dobbiamo farlo investendo nella giustizia sociale e ponendo la prevenzione al centro di tutto. In Municipio, abbiamo ampliato le risorse destinate all’assistenza sociale e alle politiche anti-povertà, quelle a garanzia del diritto alla casa e abbiamo raddoppiato le risorse economiche per i programmi sanitari di quartiere nelle aree con i maggiori indici di povertà e la peggiore situazione a livello di salute. Raggiungiamo 23 quartieri – 1 abitante di Barcellona su 4 – con più di 150 programmi di collaudata efficacia per il miglioramento della salute della popolazione, la coesione sociale, il benessere psicologico, i comportamenti a rischio, ecc. Tali programmi vengono avviati a seguito di un processo di diagnosi e prioritizzazione delle questioni da affrontare, da parte della stessa comunità coinvolta.
La salute mentale costituisce un problema sanitario di grande portata, che può colpire ciascuno di noi nell’arco della vita. In Catalogna, una persona su 5 soffre di problemi psicologici. Si tratta anche di una questione di giustizia sociale: tra le persone con uno status socioeconomico inferiore, le ospedalizzazioni psichiatriche sono 10 volte di più. Inoltre, la salute mentale è sempre stata il brutto anatroccolo del sistema, con meno del 10% del budget. Noi abbiamo promosso il primo Mental Health Plan di Barcellona, un’iniziativa pioneristica nel Paese, immettendo decine di milioni in tutte le aree cittadine al servizio della prevenzione e del sostegno per le persone colpite. Il nostro piano ha scosso la coscienza della Generalitat che, pochi mesi dopo, ha annunciato un incremento del proprio budget sanitario destinato ai servizi di salute mentale pari a 70 milioni: un passo importante, ma ancora lontano dall’essere attuato ed in ogni caso di portata inadeguata, considerando la situazione di partenza. Il budget per i servizi di salute mentale deve crescere almeno del 40% per le cure, sostegno all’assistenza primaria, attività di quartiere, recupero e reinserimento sociale e diminuzione delle disparità.
Per i Catalani, avere denti da curare e pochi soldi, vuol dire o non avere denti o non avere soldi. La copertura delle spese dentistiche è nulla per gli adulti e quella per i bambini è limitata e comunque già esaurita. Il Consiglio Comunale ha avviato un ambizioso progetto per fornire cure dentistiche alle persone con scarse risorse economiche, ma la soluzione è di avere un’assistenza pubblica per le cure dentistiche dal governo della regione e che l’accesso a tali cure sia garantito per tutti i cittadini.
Allo stesso modo, il pagamento del ticket sui medicinali è un’altra fonte di impoverimento, una tassa sulla malattia che colpisce specialmente gli adulti con un reddito inferiore ai 1,000 € al mese, che comunque devono pagare il 40% del prezzo dei medicinali prescritti loro dai medici del sistema sanitario pubblico. A Barcellona abbiamo iniziato a mettere 100.000 € in un fondo sociale per Ie cure, che ha già raggiunto più di 2.000 persone, per fare in modo che non debbano interrompere le terapie o decidere fra curarsi e mangiare o pagare le bollette. Noi crediamo che il ticket sui medicinali e sui servizi sanitari dovrebbe essere eliminato per tutti i redditi inferiori ai 18.000 €, quale primo passo verso l’abolizione di una tassa sulla malattia retrograda e ingiusta.
L’assistenza sanitaria catalana è leader della gestione controllata della privatizzazione. A Barcellona, per la prima volta, sono stati resi pubblici i dati: 220 milioni, 11% dell’assistenza sanitaria pubblica della città, nelle mani di società private, senza alcun controllo e, praticamente, nessuna verifica. Abbiamo bloccato l’invio di pazienti da tutti gli ospedali di Barcellona al Sacred Heart Hospital, gestito da una multinazionale; ricondotto ad un provider pubblico la garanzia dell’assistenza notturna e festiva; fatto eseguire per la prima volta in 10 anni un audit sulla qualità dei centri di cura intermedi. Ma resta ancora molto da fare: utilizzare al massimo la capacità delle strutture pubbliche, ricondurre ad una gestione pubblica quei servizi ambulatoriali e di assistenza domiciliare che non necessitano ricoveri, come ad esempio la riabilitazione, modificare le leggi per forzare la trasformazione delle società mercantili in enti di economia e solidarietà sociale con il massimo controllo da parte dello stato.
Ma se c’è qualcosa della nostra assistenza sanitaria pubblica che fa realmente soffrire i cittadini, sono le liste di attesa e, ora, nella stagione invernale, il collasso dei reparti di pronto soccorso.
In generale, quando si viene presi in cura, la qualità del servizio è alta, ma i tempi di attesa sono a livelli inaccettabili. Non è un caso che il 30% dei catalani che se lo possono permettere paghino un’assicurazione sanitaria; anche in questo siamo al primo posto nel Paese.
In questo ambito, noi del Consiglio Comunale non abbiamo potuto fare molto altro che protestare e denunciare il caso pubblicamente e nelle riunioni dell’Health Consortium, dato che la questione è al di fuori delle nostre competenze e del nostro budget. Abbiamo potuto contribuire solo investendo in macchinari, promuovendo un accordo per 37 strutture in città, tra nuove e rinnovate, e portare a compimento alcune importanti opere, come il nuovo edificio e la nuova area pronto soccorso dell’Hospital del Mar.
Siamo consapevoli però che possiamo e dobbiamo fare molto di più per ridurre i tempi d’attesa. Non si tratta solo di fare di più, si tratta di agire diversamente. Non si risolve tutto semplicemente investendo più milioni negli ospedali. Dobbiamo realmente mettere l’Assistenza Primaria al centro del sistema, smettendo di dichiararlo solo sulla carta. I professionisti dell’assistenza primaria si ribellano: non ne possono più del solito ritornello che dice che grazie a loro il sistema ha retto durante anni di crisi. Il budget dedicato all’Assistenza Primaria deve salire dal 16% al 25%: più professionisti, meglio retribuiti, e lo spostamento di servizi e risorse dall’area ospedaliera all’Assistenza Primaria, in modo da poter risolvere i problemi di salute presso i nostri centri sanitari di quartiere, senza portare al collasso i reparti di emergenza degli ospedali e innumerevoli specialisti.
Queste sono solo alcune delle nostre principali sfide.
Questa è la sanità che vogliamo per il nostro Paese.
Un servizio sanitario pubblico, di qualità, senza attese irriducibili né tasse sulla malattia, che si prenda cura della salute fisica e mentale, che sia preventivo, comunitario, equo, universale…
Ed una società equa, che combatta la povertà, promuova l’aggregazione, garantisca il diritto ad un lavoro dignitoso, alla casa, a cibo sano, aria pulita …
I consigli comunali, le città,
hanno numerose competenze e capacità
riguardo alla salute: dobbiamo saperle
sfruttare e passarle agli altri.